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      Io non ho altro intendimento che di narrare semplicissimamente quello che sentii che feci e che dissi con Filippo Agresti e Salvatore Faucitano, durante i tre giorni che stemmo condannati a morte in cappella.
      La pubblica discussione di questa causa cominciò il 1° giugno 1850, e continuò per sei mesi: nel qual tempo fu da tutti osservato i giudici tacer sempre, il presidente stolto e furioso sragionar sempre: il procurator generale parlar rado, con poche formole e pochissime idee: i denunziatori e testimoni esser uomini pagati, perduti, scelleratissimi, noti per ogni più brutta infamia: gli accusati serbar grave contegno e parlare non timidamente. Il procurator generale, che nell'accusa scritta aveva richiesto a morte tutti i quarantadue accusati, il 7 dicembre nelle sue orali conclusioni si contentò di richieder morte solamente per sei, cioè per Nicola Nisco, Felice Barilla, Filippo Agresti, Luigi Settembrini, Michele Pironti, Salvatore Faucitano; e per gli altri gravi pene di ferri; 30 anni per Carlo Poerio, Francesco Catalano, Cesare Braico. Dopo la requisitoria del procurator generale, noi richiesti a morte fummo separati dagli altri e più ristretti: il Nisco, perché ammalato, ed il Barilla, perché prete, stettero all'ospedale di San Francesco: noi quattro, che eravam nella Vicaria, fummo tratti dalla carcere dei nobili, e passammo in quella del popolo, in luogo detto il Provvisorio, dove sono molte stanze segrete: e fummo allogati in due stanze dette lo Sperone e Marco Perrone, dataci la facoltà di passeggiare in uno stretto corridoio, e bere un poco d'aria da un'alta finestra ch'è in fondo di esso.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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