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      Ci portarono e distesero a terra quei duri materassi di capecchio che diconsi farti e n'avemmo due per ciascuno. Ci gettammo sopra questi farti Filippo ed io d'appresso, Salvatore di fronte a noi. Quelle pastoie ci pesavano assai, e ci raffreddavano i piedi. Poiché fummo distesi su quei strapuntini a terra. Salvatore disse: "Ci hanno vestiti da pazzi". "No," risposi io, "da condannati a morte." E Filippo: "È bene che questa noia durerà poco: se dimani non fosse domenica saremmo sbrigati tra ventiquattr'ore". Ed io: "Aspetteremo fino a lunedì mattina". Don Ciccio rispose: "Non dite questo, io spero che il Signore Iddio vi faccia la grazia. Oh, chi poteva credere questo di voi!" E pianse: i custodi e i chiamatori anche piangevano; noi dovemmo confortarli, ma alle nostre parole più si addoloravano e si meravigliavano. Don Ciccio dimandò se volevamo alcun cibo o ristoro: noi lo ringraziammo: ma poiché seppe che Filippo era digiuno, disse: "Vi farò io una tazza di brodo: non dubitate di nulla: state in mano mia: la farò fare a mia moglie, e ve la porterò io". Andò via. e noi restammo guardati a vista da due custodi e da due chiamatori: perché il condannato a morte non può muoversi né può toccar nulla, tutto gli dev'essere porto dai custodi, i quali hanno stretto obbligo di guardarlo sempre fiso, di notare e riferire ogni movimento che faccia, ogni parola che dica. Filippo ed io talvolta parlavamo francese per non farci intendere.
      Io mi volsi ad un custode, e dissi: "Quando verranno i Bianchi?


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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