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      Ed egli:
      Non so; ma non pensate a questo, o signore". "Debbo pensarci," risposi io; e voltomi a Filippo gli dimandai come li riceverebbe. Ei mi rispose: "Come gentiluomo e come cristiano. Dei miei falli chiedo e chiederò sempre perdono a Dio: a loro dirò poco, perché non ho delitti e so quello che mi vorrebbero dire". "Bene," diss'io, "con questa serenità vedremo i Bianchi, li ascolteremo, saliremo il patibolo." "Noi siamo cristiani," rispose Salvatore, "e moriremo da cristiani." "Dunque," diss'io, "ci vogliono far morire? ma che intendono di fare? che sono tre capi? faranno morire l'idea? l'idea non muore mai, anzi ha vita e forza dalle persecuzioni. Miserabili! mi fanno pietà anche ora che ho i ferri ai piedi!" Filippo e Salvatore chiesero di fumare, ed avute ed accese le pipe seguitammo i nostri ragionamenti: i custodi ci chiesero permesso di fumare anch'essi, ed ascoltavano. Filippo mi disse: "A me non fa paura la morte, perché l'ho veduta e sfidata molte volte nelle battaglie, non l'ho temuta quando assisteva i colerici in Marsiglia; e poi ho cinquantaquattr'anni: ma mi duole di te che se' giovine". "O mio Filippo," risposi, "dagl'infelici miei studi io non ho cavato altro frutto che conoscere le miserie della vita, e non temere altro che l'infamia. Io morirei contento se sapessi che il nostro sangue giovasse al nostro paese, fosse l'ultimo che qui si sparge; se nessun altro patisse, nessun altro piangesse; se tornasse la pace alla nostra patria sventurata." "Oh si," disse Filippo, "sì," disse Salvatore, "purché giovasse alla nostra patria mille volte morire.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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