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      Io volli vincere me stesso, e mi vinsi: nessuno seppe o sospettò mai la guerra che io sentii dentro, e che anche ora a ricordarla mi spaventa.
      Dopo due ore tornò don Ciccio portando il brodo, e Filippo ne bevve solo due cucchiai. Io tornai a dimandare dei Bianchi, e don Ciccio rispose, che non v'era alcuna disposizione, e non sarebber venuti la sera. "E voi sempre co' Bianchi? io vi dico non temete." "Temere?" risposi; "temano i malvagi, non noi: deve temere chi ci ha condannati: noi siamo tranquilli perché crediamo in Dio, ed operammo la virtù." "Oh certo," disse Filippo, "io non cambierei questi panni con la toga del presidente Navarra, che è tinta di sangue e d'infamie." E quel dabben uomo: "Dio deve fare a me questa grazia, perché questo che hanno fatto a voi è stato..." "Dite," replicai, "un assassinio. Eppure non ci duole di noi, che siamo disposti a tutto e perdoniamo chi ci odia, ma ci duole che dopo di noi si farà lo stesso agli altri." E Salvatore disse: "Non dubitate, questo è uno scherzo che vogliono far con noi, per vedere se abbiamo coraggio: io vi dico che riuscirà a nulla". Filippo disse: "Bien ou mal c'est égal: io credo il contrario". Vennero altri due custodi per dar lo scambio ai primi, che andarono via col custode maggiore, il quale andava ripetendo: "Che mi tocca di fare, che mi tocca di fare!"
      Cominciammo poi a discorrere del nostri amici, ci rallegrammo che Michele non era con noi, e dicemmo che essi dovevano soffrire più di noi. "Oh," disse un custode, "questo è vero.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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