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      Filippo ed io eravamo additati da molti; e molti dimandavano chi era Carlo Poerio, che tre anni prima era stato ministro. "Eccolo è legato con quell'altro signore che era giudice criminale, ed ora va in galera con lui, e si chiama Michele Pironti." Ci condussero per le strade della Nunziata, del Lavinaio, del Carmine, del Mercato, della Marina, forse per farci insultare dalla plebaglia che abita in quei luoghi. Ma la stolta speranza andò fallita: un solo mascalzone gridò: "Viva Ferdinando II", ma nessuno gli rispose, anzi vidi che molti lo guardarono biecamente, perché insultava la sventura. Giunti alla porta della darsena vedemmo le persone delle nostre famiglie, che dalle carrozze ci salutavano, e ci davano l'ultimo addio. Salutai mia moglie, i miei figliuoli, i miei fratelli, ed Alessandro che non mi si era partito dal fianco. Entrati nella darsena eravamo osservati con altri occhi, ed ancora con altri affetti: vedemmo che da alcune finestre del reale palazzo eravamo sbirciati con lenti e cannocchiali da alcune persone che non potemmo distinguere. I gendarmi ci consegnarono ai soldati di marina, e ci disciolsero. Io ringraziai il loro capo di quello che tutti avevano fatto per noi: essi ci chiesero perdono del tristo uffizio che avevan dovuto adempiere, e ci augurarono ogni bene.
      Fummo incatenati ed accoppiati alla presenza di moltissimi uffiziali di marina e di alcuni generali che ci guardavano. Tutti, fuorché noi ergastolani, dovettero spogliarsi dei loro abiti e vestire una giubba rossa, un paio di calzoni ed una berretta di colore oscuro; e portarsi in mano una lunga tela di lana grossa e nera, ch'è materasso e copertoio de' forzati.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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