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      Sedemmo ad un divano tutte aggravate di mestizia, perché uno era il dolore di tutte. Ondeggiavamo in mille pensieri, in mille palpiti, ognuno di noi sospirava, pensava, diceva: "Chi sa che avranno deciso i giudici! O Dio mio, e qual colpo ci toccherà di sentire fra breve! questo giorno deciderà della nostra sorte". Lo zio di Cecilia, vecchio e venerando sacerdote, ci consolava con fatti della sacra scrittura e con esempi di santi, e ci animava e ci esortava a sperare in Dio padre degli oppressi. Così passammo quelle amare ore con le orecchie tese, ad ogni suono di campanello il cuore ci palpitava, e dimandavamo: "Chi è? è aperta la camera?" ci rispondevano:
      Non ancora
      . La signora Cecilia con tutta quella ottima famiglia ci obbligò a prendere un brodo: sedemmo a tavola: ma che cibo? Il brodo non voleva scendere in gola. Ci guardavamo, e dicevamo cogli occhi: "Che sarà! quando finiranno queste agonie?" Ecco un suono di campanello; io dimando: "Che cosa è? è qualche avviso?" Cecilia rientrò, e mi rispose che non era nulla: ma io la vidi turbata, vidi la famiglia turbata, nessuno gustava cibo, la smania cresceva, io mi levo dalla tavola e vedo la Giulietta, che viene a me e dice: "Mamma, zio Vincenzo è fuori seduto da molto tempo, e dice che vi sono brutte cose per papà". Corro io fuori come una forsennata, non bado più a nessuno, vedo Vincenzo... Luigi mio, io non reggo più a continuare, io ricordo di quale spada fu trafitto il mio cuore in quel momento, sento anche adesso quel dolore: mi sento stringere l'anima: sospendo lo scrivere.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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