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      La moglie ed il fratello di Faucitano stavano in un angolo della stanza, non cessavano mai di piangere. Io secondo che più cresceva il dolore ed il timore, mi sentiva più vogliosa di operare, e dissi a Peppino: "Facciamo qualche cosa e facciamo subito, sai tu che Luigi a quest'ora si trova coi Bianchi?" "Lo so," rispose Peppino, "ma che possiamo fare a quest'ora? non prima delle undici potremo vedere qualche persona." A questo la moglie di Faucitano dà un grido, e mi dice: "Come i Bianchi? che mi volete far morire?" Io la guardai con maraviglia, perché credeva che avesse capito le conseguenze della condanna: ma la povera donna allora lo capì, e da quel punto cadde in uno stato di stupidità, di delirio, di pazzia: e di tanto in tanto mi domandava: "Sono andati i Bianchi da Salvatore?" e non diceva altro, e piangeva. Io cercai di darle speranza, di farle capire tutt'altro; ma l'infelice non aveva forza né di capire né di soffrire, Vincenzo tuo fratello prete propose di andare dal cardinale Cosenza, arcivescovo di Capua, ch'è un santo uomo, per pregarlo di farci avere subito una udienza dal Re. Seguimmo il consiglio, e così infervorati subito prendemmo due carrozze per Capua.
      Giungemmo a Capua verso le otto del mattino, il cardinale diceva la messa; i servitori ci fecero sedere in una stanza, poi in un'altra, nella quale il cardinale dopo la messa veniva a fare il suo ringraziamento. Noi attendevamo in quella stanza fredda più di un'ora senza pronunziare una parola. Uno, non so se cameriere o segretario, sedette anch'egli e non so se a caso o per malizia, per prendere parole con noi, disse: "Questa mattina alle dieci si fa giustizia in Napoli". Tutti tremammo a quelle parole; io vidi tutte le facce più incadaverite di prima.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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