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      Questa compagnia di uomini perduti e scellerati fa più dolore che la catena ed i ceppi, perché tormenta il cuore e l'anima: quasi che non bastasse di punire la virtù, si vorrebbe anche macchiarla, schernirla, e spegnerla; se la virtù potesse spegnersi. Nel 1836 questo edifizio fu destinato per i soli condannati all'ergastolo, e per pochi e pessimi condannati ai ferri. La pena dell'ergastolo stabilita nel nostro codice fu sostituita all'altra dei ferri in vita: per essa il condannato è chiuso in una stanza per tutta la sua vita, senza ferri, e con abiti suoi: perde tutti i diritti civili, è considerato come morto ab intestato, e si apre agli eredi la successione. Pena terribile, perché senza speranza.
      Ma entriamo in questa tomba, dove sono sepolti circa ottocento uomini vivi: vedremo dolori che il mondo non conosce e non può mai immaginare: vedremo uomini imbestiati che sono discesi all'ultimo fondo dell'abiezione morale: e da questo abisso di dolore e di delitti innalzeremo gli occhi e la voce a Dio affinché consoli chi soffre, e consigli chi fa soffrire.
      L'ergastoloChi si avvicina a Santo Stefano vede da mare sull'alto del monte grandeggiare l'ergastolo, che per la sua figura quasi circolare sembra da lungi una immensa forma di cacio posta su l'erba. Il gran muro esterno, dipinto di bianco e senza finestre, è sparso ordinatamente di macchiette nere, che sono buchi a guisa di strettissime feritoie, che dànno luogo solo al trapasso dell'aria. Per iscendere sull'isola si deve saltare su di uno scoglio coperto d'alga e sdrucciolevole.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





Dio Santo Stefano