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      Il comandante prescrive il numero dei colpi, ed è presente col medico e col prete: i soldati stanno su la loggia con l'arme al braccio: i condannati debbono riguardare: il battuto urlando chiama la Vergine ed i Santi che poc'anzi bestemmiava: alcuno soffre muto, e levatosi dallo scanno con orgogliosa impudenza si scuote i calzoni e le battiture. Dopo le battiture è incatenato ad un piede, e messo al puntale, cioè l'altro capo della catena, è fisso ad un grosso anello di ferro che sorge dal pavimento d'una segreta, o è fisso ad un cancello d'una finestra: e così sta assai giorni e mesi. Talvolta gli si mettono ancora le traverse, che sono due semicerchi di ferro messi ai piedi e fermati da un grossissimo perno che pesa su i talloni e rende difficile e doloroso stendere un passo. Questi castighi sono continui, le battiture quasi ogni giorno: alcuni in varie volte ne hanno ricevuto oltre due mila, e ne muoiono consunti da tisi, ma non domati. Dopo l'omicidio s'incomincia il processo: i testimoni, che spesso sono congiurati, aiutano il vivo, dicono che è stato provocato da schiaffi o da ingiurie. Il colpevole dopo tre o quattro anni è mandato a Procida, dove una commissione militare lo giudica e lo condanna ad altre battiture, o a pochi mesi di puntale, rarissimamente a morte: onde ritorna più baldanzoso tra i suoi, e pronto a dare altre morti. Le robe dell'ucciso spesso sono rubate o i paesani se le dividono: se muore dopo alquanto tempo nell'ospedale, il prete si fa lasciar qualche cosa o tutto per dirgli una messa di requie: i cenci, il letto, la cassa, si vendono all'incanto in mezzo al cortile, ed il denaro si divide tra i creditori, che si ricordano di lui solamente per maledirlo.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





Vergine Santi Procida