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      Vi sono ancora armi più crudeli e velenose dei coltelli. Coloro che sanno scrivere fanno scellerate denunzie contro i loro compagni, e ne hanno particolari favori, o un compenso di dodici carlini il mese, e quando non sono favoriti o compensati come vogliono, accusano il comandante, il prete, i medici, dicono cose vere e false, e con incredibili astuzie mandano le carte al Ministri ed al Re. Qualche comandante ne ha fatto aspra vendetta: un sicario ha trafitto il denunziatore, e se la ferita non è stata presto mortale, è stata avvelenata. Così i delitti sono vendicati coi delitti.
      Quando la sera verso il tramonto, levato il ponte, tutti sono noverati e chiusi nelle loro celle, rimangono per qualche tempo muti e pensosi, riguardando il cielo dall'angusta ferrata, e parlando coi propri dolori. Alcuno per ubbriachezza, per noia, o per costume si corica: gli altri, accesa la lucerna, fan cerchio, filano canape, e cominciano i discorsi della sera. Terribili discorsi che ti volgono sotto sopra l'anima, ti straziano il cuore profondamente, e talvolta ti fan tutto tremare e sudare ed arricciare i capelli sul capo per lo spavento. Raccontano la storia dell'ergastolo, cioè gli orribili delitti che qui hanno veduti, e le cagioni delle risse: descrivono i lunghi coltelli, le ferite, le grida, gli atti del ferire e del morire, ti additano i luoghi, e ti dicono che non v'è cella, non v'è pietra che non sia stata sparsa di sangue. Spesso raccontano la storia de' misfatti altrui, spesso dei propri.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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