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      Tra le ventidue persone che per causa politica sono state dalla fortuna gettate meco all'ergastolo, è un giovane albanese di Calabria, nato a Civita, paesello della provincia di Cosenza. Voglio parlare di lui per consolarmi e per riposarmi; perché l'anima mia è stanca di contemplare tanta oscena bruttezza di uomini e di cose.
      Nel collegio italo-greco di San Demetrio stette egli sino a venti anni sotto quella stolida disciplina che si chiama e si crede educazione. Volevano farlo prete, ma vedendone l'indole troppo ardita, e certe scapataggini d'amorazzi, gli lasciarono scegliere una professione, ed egli scelse quella del notaio. Per apprenderla andò in Castrovillari paese distante un otto miglia dal suo villaggio; e quivi si diede a studiar legge e a far versi e l'amore. Aveva ventidue anni, ingegno vivido e poetico, cuore caldissimo e saldo, e non era ancora uscito dal nido quando venne il 1848, anno di tanta vita e di tante speranze: ed egli che da giovane amava la libertà per istinto d'animo generoso, e per averla veduta dipinta così bella nei libri dei greci e dei romani, sentì che una ignota potenza gli sollevava il cuore e la mente. La Calabria nel giugno di quell'anno si levò in armi: ed egli preso il moschetto chiamò a seguirlo diciassette albanesi del suo paesello; andò ad accamparsi a Campotenese, e quando si dové combattere, combatté da prode, da leone, come si combatté a Maratona, col coraggio di Cinegiro. Animoso spensierato, sicuro che tutti gli altri avevano il cuore suo, si avanza solo, non ode chi gli grida di ritirarsi, combatte fra le palle che gli fischiano intorno e sollevano un nugolo di polvere.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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