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      Da Gaeta, dove finalmente giunsero furono sopra una barca trasportati in Santo Stefano, in ottobre del 1850: qui non erano altri ergastolani politici.
      Nel giorno che io e i miei due compagni giungemmo in Santo Stefano, che fu il 7 febbraio 1851, mi fu presentata una lettera che io apersi e dentro vi lessi un sonetto a noi indirizzato e sottoscritto da Gennarino Placco. Il sonetto era bello, affettuoso, pieno di nobili sensi. Dimandai chi fosse lo scrittore: mi fu risposto essere un giovane calabrese politico. "E perché," dissi, "non è qui sul terzo piano?" "È al pianterreno col suoi paesani," mi risposero. Mi affacciai, lo vidi, lo salutai, lo ringraziai del bel sonetto. Dopo forse un quindici dì una sera eravamo stati chiusi allora allora nei camerini, quando udimmo un grido terribile, vedemmo accorrere i custodi verso il pianterreno e gli ergastolani chiusi meco dissero: "Sangue tra i calabresi"; ed affollati alla finestra dicevano fra loro: "Chi sarà?" "Sarà qualche ferito grave, vengono gl'infermieri per portarlo all'ospedale." "No, viene la bara: sarà morto; è morto, chi, sarà? Lo portano: ai calzoni pare che sia don Gennarino..." "Gennarino!" rispos'io, ''Gennarino assassinato, e perché?" e mi sentii spezzare il cuore. Uno seguitò: "Forse non è desso".
      Io non dissi più, venne il buio, fu deposto il cadavere nella bara, levato il ponte, ogni cosa tacque. Che notte orribile fu quella per me, piansi per quel povero giovine, che già sentivo di amare. L'altro giorno come s'apre la porta, dimando ansiosamente dell'ucciso, so che era uno sciagurato, voglio riveder Gennarino, lo saluto, e gli dico che egli deve ad ogni modo uscir di là e montare sul terzo piano.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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