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      Quel giorno stesso ci montò, ed io abbracciai un bel giovane, una faccia greca, occhi scintillanti, parlante con certa sua enfasi albanese, e con l'erre come la pronunziava Alcibiade. Stringendogli la mano gliela vedo mutilata dell'indice: ed egli sorridendo mi dice: "Lo perdei combattendo presso Castrovillari".
      Corre il quarto anno che questo valoroso e sfortunato giovine è mio amico ed io lo amo con tenerezza fraterna, e son certo di essere da lui riamato. Ora ha ventinove anni, ma egli sente, ed a me pare, e tutti dicono che egli non giunga a venti; non perché il povero giovine non porti sul volto i profondi solchi che vi segna la sventura, e non abbia gli occhi dipinti di mestizia; ma perché l'anima sua odora di tutta la freschezza, di tutta la ingenuità, di tutta la spensieratezza, di tutta la candidezza d'un fiorente giovanetto.
      Egli è rozzo nelle maniere, anzi talora è selvatico, come albanese e montanaro: ma a me piace assai quella durezza, segno di animo saldo e maschio, quel suoi recisi no e sì, senza quella convulsione civile che chiamasi sorriso, senza quelle cortesi parole che sono intonaco sopra muro fradicio: sotto quella dura scorza palpita un cuore nobile e generoso. Di sé sente assai modestamente: eppure ha sufficienti studi, ingegno vivo e facile, scrive bei versi: facilmente ha appreso il francese e l'inglese dai compagni dell'ergastolo: non c'è faccenda da cui non sappia cavar le mani, non c'è bisogno d'amico a cui egli non corra, volentieri rende servigi a tutti, è sempre operoso, sa molto fare, poco parlare; sdegnasi se alcuno lo ringrazia di alcuna cosa che egli fa.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





Alcibiade Castrovillari