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      E poi non v'è spazio, non vi sono utensili, non vi è maniera d'accomunarsi nel desinare. Se n'è fatta molte volte esperienza: ma ciascuno ha desiderato di esser libero anche nel suo capriccio. Oh chi è condannato a viver tutta la vita sua nell'ergastolo, talor s'incresce anche di se stesso! Per amarci, compatirci, e vivere insieme, ciascuno di noi deve poter dire: "In questo io son libero".
      Mezz'ora dopo il mezzodì quasi tutti si coricano, pochi, tra i quali io, escono sulla loggetta a passeggiare, se è buon tempo; se no, si rimane al proprio posto tacitamente, ed io mi distendo su le tavole del letto e o leggo o penso. Quando i dormenti si svegliano (e si dorme anche di questa stagione per non avere che fare) si ricomincia a parlare, passeggiare (passeggiare mo', si passeggia come il leone nella gabbia, si danno sei sette passi, e si dà la volta), a fumare, a leggere, a sospirare, a fremere, a fare ciò che non si può narrare esattamente, ma può essere immaginato da chi è stato in carcere.
      Col cadere del giorno son chiuse le stanze in cui siamo; e chi mangia un po' di pane e cacio, o qualche cibo rimastogli dalla mattina, chi si aggruppa con un altro sopra un letto a parlare, e chi si mette a studiare. A due ore di notte cessa lo studio: si chiacchiera un po', spesso si chiacchiera a lungo, e poi tutti andiamo a letto. Così un giorno, così tutti i giorni.
      Io, per aver tempo di studiare, per non imbrattarmi, e per non fare ciò che non saprei, e che, facendolo, mi darebbe una noia e una stizza grande, mi fo fare il cotto da un buonissimo e carissimo giovane di Reggio, a nome Francesco Bellantonio, che ho creato mia siniscalco.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





Reggio Francesco Bellantonio