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      Mi si velarono gli occhi, e stavo per cadere. Il generale disse: "Vi sentite male?" "Sì" risposi. "Qui si festeggia quella bandiera e quei colori che a Napoli sono colpa: la colpa per la quale mio marito è all'ergastolo." Tornammo a casa. E il povero figlio mio era stato anch'esso in Crimea, e ne aveva riportato il terribile tifo che me lo aveva quasi morto: eppure non era con quei reduci. Non ebbe dipoi che la medaglia commemorativa.
      Intanto egli veniva riacquistando le forze, e quando poté cominciare ad uscire io lo feci rivestire a nuovo, e lo accompagnavo sempre, ed egli era sostenuto da due e poi da uno, perché non si reggeva ancora bene su le gambe. Era già risanato, ma convalescente: ogni giorno andava meglio ed io era consolata.
      Venne una lettera dal Panizzi che mi diceva di tornare in Napoli dove la mia presenza era necessaria per l'affare della fuga. Io dissi tutto a Raffaele (come non dirlo a mio figlio?), ed egli mi disse: "Andate pure, e pensate a papà". Parlai col medico Bertani il quale mi disse che sul legno verrebbe egli stesso e ci verrebbe come comandante il Garibaldi. Lasciai Raffaele che mi straziava l'anima, e sul cominciare di settembre fui in Napoli.
      Dove feci tutti gli apparecchi necessari, mandai i ferri, ecc. Ma mentre si aspettava l'avviso ecco giungere lettera di Panizzi che diceva che il legno partito da Newcastle era naufragato, e tre persone erano morte. L'affare si differiva ad altro tempo. In quell'anno furono grandi tempeste nell'Oceano e nel Mediterraneo, e molti legni andarono perduti.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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