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      Il capitano cadde dalle nuvole: parlò con Raffaele, e disse che egli aveva un contratto, che noi lo rovineremmo, gli dessimo almeno noi il resto del nolo che doveva avere dal console napoletano in New York, che dicessimo di averlo forzato a voltar la prua. E noi rispondemmo, esser poveri e non potergli dar nulla: non volerlo forzare, né dire di averlo forzato: dover egli esser forzato dal fatto suo stesso di averci presi come un branco di negri senza averci interrogati. Il capitano non si persuase. Sperò di cavarci danari, seguitò la sua via verso ponente.
      Raffaele sbuffava e mi diceva: "Le parole non fanno niente con costui. Bisogna legarlo, e condurrò io il bastimento".
      Figliuol mio smetti l'idea della forza. Una violenza produrrebbe qui una rovina.
      La ciurma è di soli diciassette.
      Ma ci sono quei due negri, che valgono per cinquanta.
      Io ho quattro pistole, e accheterò quattro negri.
      Raffaele mio, acchetati. Che rimorso sarebbe per noi di spargere sangue per non voler fare un viaggio un poco più lungo? E se cade qualcuno de' nostri? Oh, non pensare neppure a queste cose.
      Con le buone parole mi feci consegnare le quattro pistole che consegnai a Francesco de Simone due, e due a Ferdinando Bianchi.
      Intanto gli altri compagni che alla vista di Raffaele avevano levato gli animi e le speranze, sapendo il niego del capitano, sospettarono che questi la notte facesse chiudere sotto-coperta il giovane, e poi incatenar tutti, e Dio sa che altro: onde tutta la notte stettero quattro a guardia su la coperta, scambiandosi con altri quattro.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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