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      Dopo 23 giorni, cioè il 6 maggio, chiamato dal commessario di polizia signor Maddaloni dichiara che il libello è scritto e sottoscritto da lui, che la setta è l'Unità italiana, che per la remotezza del tempo non ricorda il giuramento, le parole, i segni; che conobbe me per mezzo del Poerio; che il Poerio, il Settembrini, il Nisco, l'Attanasio, l'Ambrosio, il Grillo son tutti settari: che non può dar testimoni di questi fatti perché tutto avveniva nel segreto.
      Il 29 maggio scrive un altro libello che diceva: essere andato in casa Poerio, avervi trovato un farmacista, il deputato Cicconi, e tre altri ignoti, i quali tutti parlavano di un cancelliere ucciso negli Abruzzi per opera di una setta che voleva uccidere tutti i nemici de' liberali: il Poerio averlo spinto a venire da me; egli venne per sapere alcuna cosa di nuovo, io gli dissi non saper nulla, ma gli dimandava quanti uomini egli aveva alla sua dipendenza e quanti armati; ei mi disse una bugia, io me la bevvi, e gli dissi di tornare altra volta.
      Ecco l'accusa, ma vaga e preparatoria; ma diretta principalmente contro il Poerio e contro me: tutti e due dovevano essere colpiti, io prima, egli dipoi: per tutti e due bisognava un fatto, per me fu facile trovare un proclama, per lui dovettero fingere una lettera speditagli dal Dragonetti. Circolava per Napoli un proclama sedizioso, si pensò di attribuirlo a me, e di trovare così un fatto pel mio arresto. Questo pensiero trasparisce chiaramente dal vol. 20, fol. 3, processo a mio carico, dove è scritto.


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Ricordanze della mia vita
Volume Secondo
di Luigi Settembrini
pagine 356

   





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