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      Ho detto volesti; avrei meglio detto: dovesti? Chi lo sa! È proprio così inesorabile il Fato? È proprio superbia degna del celeste castigo il tentare di ribellarsi ad esso? Non ci dice dunque la voce della saviezza che noi stessi siamo sempre un poco gli artefici del nostro proprio destino? Dare tutta la nostra fronte alla furia della tempesta, dare tutto il nostro petto all'imperversare dei colpi: è questa veramente nobile e giusta cosa? O non dobbiamo noi essere un poco arcangeli di noi medesimi, e sguainare la spada fiammeggiante della rivolta contro i cattivi genii che ci minacciano insidia? Ma il combattere è dei validi, dei forti: e Gaspara Stampa, anima piena di fervore, mente alta ed aperta, non è valida nè forte a combattere contro il suo proprio destino. Ma la causa della sua inazione non va cercata nella sua femminile viltà: no, non è già ch'ella non osi combattere, che il suo cuore vacilli.... no, ella non vuole (dato che il volere sia uno stato di coscienza) combattere: ella si dà tutta al suo amoroso dolore perchè lo ama, perchè se ne inebria, perchè ha bisogno di acuto soffrire, perchè la sua anima è arsa dalla «sete del martirio»: la stessa sete che data ad un alto, puro ideale avrebbe potuto fare di lei una eroina od una Santa.
      Perchè il grande amore, l'amore giunto allo stato di passione (non quello falso, che va pel mondo sotto un nome che non gli appartiene) è una specie di misticismo volto a cose profane, è uno stato di grazia (per modo di dire) concesso a pochi eletti, i quali accettano il terribile e dolce dono con prona fronte, offrono la povera carne loro al duro cilicio, e in attesa del giorno in cui l'Angelo della Pietà venga in loro soccorso, soffrono, tra le strette del serpe maligno — ch'esse credono un Nume — tutte le pene dell'inferno.


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Femminismo Storico
di Sfinge
Editore La Poligrafica Milano
1901 pagine 117

   





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