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      Ad Enrico venne da' suoi cortigiani rappresentato questo tumulto siccome un furor di plebaglia, e l'esplosione d'un'arroganza di schiavo(109), che dovevasi reprimere colla forza; ma la ribellione era più estesa, ed il pericolo maggiore che non era annunciato. Enrico trovossi assediato nel palazzo che le sue guardie difendevano a stento. Per liberarlo, e sottomettere i Pavesi ribellati, non potendo, per essere state barricate le strade, avanzarsi la truppa d'Enrico accampata fuori di Pavia, mise il fuoco alla città. L'incendio allargandosi rapidamente favoriva il massacro; e la superba capitale dei Lombardi fu bentosto un mucchio di ruine sparse di sangue, da cui Enrico s'allontanò subito colla sua armata. Frattanto i Pavesi rifabbricarono la loro città; e consacrando le nuove mura, giurarono di vendicarsi dei Tedeschi; e proclamato di nuovo Arduino, dedicarono le loro armi e le fortune loro al rialzamento del suo trono(110).
      Enrico, cui stava infinitamente più a cuore la conservazione della Germania, che l'apparenza di uno sterile potere in Italia, lasciò passare dieci anni senza portarvi di nuovo le sue armi. D'altra parte Arduino, mancante di truppe e di danaro, poco profitto ritraeva da' suoi talenti e dal suo coraggio. Vercelli, Novara, Pavia, e probabilmente quasi tutte le città del Piemonte riconoscevano i suoi diritti alla corona: ma queste città non potendo assoldare milizie, rifiutavansi di ricevere il re entro le sue mura per non ricevere col re le sue truppe indisciplinate, ed un potere dispotico.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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