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      Intanto la città di Roma, poi ch'ebbe scosso il giogo dell'impero d'Oriente, conservò sempre le forme, se non lo spirito d'una repubblica. Il papa non aveva entro Roma altro potere che quello che nasceva dal rispetto religioso dovuto al suo carattere, e dal timore delle censure della Chiesa. Sotto l'amministrazione d'Alberico i diritti del popolo venivano rispettati, e mantenute le assemblee periodiche. Vero è che l'uomo, che assicurava alla nazione l'indipendenza, era troppo potente per lasciarla libera; ma quand'egli morì, suo figlio Ottaviano ereditò bensì le sue possessioni ed i suoi diritti, ma non l'illimitato potere, che la sola riconoscenza accordava a suo padre.
      Nello stesso tempo che il popolo innalzò Ottaviano, ossia Giovanni XII, alla dignità papale, affidò le incumbenze amministrative ad un prefetto della città, cui diede per colleghi e consiglieri i consoli annali, incaricando della tutela dei propri interessi dodici tribuni o decurioni, i quali rappresentavano i rispettivi quartieri di Roma(172). Allora si operò sul carattere nazionale una più importante rivoluzione, che quella che aveva variate le magistrature. Alla morte del gran-console si vide rinascere lo spirito pubblico, ed il popolo manifestò il desiderio di circoscrivere l'autorità arbitraria e di metter fine alle sue usurpazioni. Questo spirito impegnò i Romani in un'ardita, ma disuguale lotta cogl'imperatori ed i papi; lotta che si protrasse quasi per tutto lo spazio che abbraccia la presente storia.
      Ottone il grande depose successivamente Giovanni XII e Benedetto V, onde il popolo romano adontato da tali atti di potere arbitrario, si dichiarò due volte a favore dei papi, e sostenne colle armi, benchè con infelice successo, la legittimità del loro titolo ed il suo diritto d'elezione.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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