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      Questi commissarj in numero non maggiore di dodici o quindici erano depositarj del potere legislativo(393). Gl'Italiani lungi dal formare di questo potere una proprietà del popolo, lo risguardavano quale attributo della giurisprudenza, e ne abbandonarono l'esercizio ai giurisperiti, i quali eransi ciecamente sottomessi alle decisioni fondate nelle massime della scuola e nell'autorità di Giustiniano. In generale lo studio del diritto era separato dalle incumbenze amministrative, di modo che i legisti non avevano un interesse di corporazione per abusare della confidenza del popolo, o per renderlo schiavo; ma la legislazione romana ed imperiale aveva loro comunicato un cotal carattere servile, per cui in tutto il corso delle dispute tra le repubbliche e l'impero, favoreggiarono il dispotismo contro la libertà.
      Eravi in Genova un consiglio o senato che doveva assistere i consoli; ma i poteri di tal corpo dovevano essere assai ristretti, poichè due o tre sole volte viene rammentato nella storia(394). Il popolo riunito in parlamento sulla pubblica piazza prendeva parte all'amministrazione dello stato, ricevendo i conti de' magistrati, e deliberando intorno ai comuni interessi nelle più importanti occasioni(395).
      Questa costituzione era semplice, ma sufficiente per tutelare la libertà del popolo, per interessarlo vivamente ne' pubblici affari, e per affezionarlo alla patria in ragione della parte che gli dava nel governo. L'elezione de' magistrati, il conto che rendevano dell'amministrazione, le deliberazioni della piazza pubblica, facevano ogni giorno sentire ai cittadini che gli affari dello stato erano i loro affari, che il privato loro interesse era quello della comunità. La salvaguardia dell'ordine pubblico contro l'anarchia e la turbolenza democratica, affidavasi ai costumi ed all'abitudine di rispettare il rango de' magistrati, piuttosto che alle leggi.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo I
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 281

   





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