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      Dal canto loro i Comaschi non trascuravano verun mezzo di difesa. Avevano cavate le loro fosse, aggiunti speroni alle mura, coperte le parti più deboli di cuoi e d'altre materie cedenti. Avevano in pari tempo equipaggiata la loro flotta, destinata ad attaccare all'opportunità gli abitanti dell'Isola che bloccavano la città dalla banda del lago. Malgrado il numero infinitamente maggiore de' loro nemici, tentarono con una sortita d'incendiare le macchine degli assedianti; ma furono respinti dopo aver dato sorprendenti prove di valore.
      Intanto a fronte della vigorosa resistenza degli assediati, le macchine erano state spinte fino alle mura: il montone aveva squarciata parte della muraglia, e si continuava a batterla, onde allargarne la breccia per renderla praticabile alla cavalleria, di cui i Milanesi volevano prevalersi nell'assalto del susseguente giorno. I Comaschi tentarono di chiudere durante la notte l'apertura della breccia colle palafitte, ma s'avvidero allora che la maggior parte de' loro guerrieri eran periti in così lunga guerra, non restando omai che vecchi spossati dalle fatiche e fanciulli inabili alle armi17. Ridotti vedendosi a tali estremità, piuttosto che arrendersi, presero la disperata risoluzione d'abbandonare la patria e cercare altrove la pace e la libertà. Per primo luogo di rifugio prescelsero il castello di Vico; e mentre caricavano sulle loro barche le donne ed i fanciulli con quanto avevano di prezioso, fecero nel cuore della notte una disperata sortita per tenere i Milanesi occupati intorno alla breccia, onde non s'accorgessero della fuga.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo II
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1819 pagine 316

   





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