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      Finchè i Romani seguirono le parti d'Innocenzo II, i Tivolesi appoggiarono lo scisma d'Anacleto (1141). Nel 1141 un'armata romana, preceduta dalla scomunica, andò ad assediare quella piccola città; ma i Tivolesi con una improvvisa sortita la ruppero in modo, che si diede ad una vergognosa fuga, lasciando nel campo ragguardevoli ricchezze. Nel susseguente anno vollero i Romani riparare la loro perdita, e, ricominciato l'assedio della città nemica, la ridussero alle ultime estremità. Animati dalla memoria del sofferto disastro pensavano di distruggerla, e ripartire gli abitanti ne' vicini villaggi; ma il papa, ascoltando più moderati consigli, accordò ai Tivolesi la pace ad oneste condizioni, costringendoli a giurar fedeltà alla Chiesa, come se gli avesse vinti colle proprie armi, non con quelle de' Romani41.
      (1143) Intanto i discepoli d'Arnaldo, e tutti coloro che avevano un cuore libero e romano, mal soffrendo il dominio teocratico, approfittarono dell'indignazione del popolo per la pace di Tivoli. I nobili sparsi per le pubbliche piazze rappresentavano ai cittadini la condotta d'Innocenzo come la conseguenza d'un piano da lui formato per annientare il loro onore ed i loro privilegi; invocavano la seducente memoria dell'antica grandezza; e paragonando il governo de' Cesari e la maestà dell'antico senato con quello de' preti, scossero in modo il popolo già esacerbato dalla fresca ingiuria, che lo trassero dietro loro al Campidoglio, ove ristabilirono il senato come caparra del ristabilimento della repubblica.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo II
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1819 pagine 316

   





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