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      Alcuni giovanetti cremaschi trovavansi ancora come ostaggi in potere di Federico. Egli li fece attaccare ad una torre che doveva spingersi contro la città, mentre gli assediati, con nuovi mangani o catapulte, sforzavansi di tenerla lontana. Sperava così Federico di costringere i Cremaschi a non adoperare le loro macchine, che minacciavano di spezzare la sua torre; pure non lasciava loro veruna speranza di salute, avendo fatti morire altri ostaggi; onde quand'anche i Cremaschi per salvare quegl'infelici avessero sagrificata la città, non erano perciò lusingati di avere sopportabili condizioni. I padri di quelle sventurate vittime, armati sulle mura, mettevano lamentevoli grida, ma non lasciavano di combattere e di dirizzare le catapulte contro la torre che avanzavasi contro la città; ed uno di loro, secondo lo attesta Radevico di Frisinga, gridava ad alta voce ai suoi figliuoli135: «Fortunati coloro che muojono per la patria e per la libertà! Non temete la morte che può sola oramai rendervi liberi. Se foste giunti all'età nostra, non l'avreste voi disprezzata come noi facciamo? voi felici, che morite avanti di temere come noi altri l'infamia delle nostre spose, e non udite le grida de' vostri figli che implorano pietà. Oh ci sia dato di seguirvi ben tosto! e non rimanga veruno de' nostri vecchi seduto sopra le ceneri della città. Possano chiudersi i nostri occhi prima di vedere la santa nostra patria caduta tra l'empie mani de' Cremonesi e de' Pavesi
      La torre intanto, colpita dagli enormi sassi lanciati dalle catapulte, minacciava rovina, e l'imperatore aveva ragione di temere che, prima d'arrivare a' piè delle mura, schiaccerebbe, cadendo, i guerrieri che portava.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo II
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1819 pagine 316

   





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