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      L'imperatore dipinse nel discorso d'apertura la condotta delle città federate come un'odiosa ribellione, che non poteva lasciare impunita senza pregiudizio del suo onore; e, gettando il guanto in mezzo all'assemblea, giurò di castigare la loro insolenza. Pose quindi al bando dell'Impero tutte le città confederate, ad eccezione di Cremona e di Lodi, rispetto alle quali, in vista de' grandi servigi prestatigli in addietro, non volle giudicarne severamente l'attuale condotta192.
      Nel sortire dall'assemblea marciò, alla testa delle truppe de' vassalli intervenuti, sulle terre di Milano, devastando quella parte di territorio che confinava con quello di Pavia, cioè i distretti di Rosate, d'Abbiategrasso, di Corbetta, di Magenta, ed i paesi posti sulla riva sinistra del Ticino. Le città confederate, prevenute del decreto di proscrizione, radunarono ancor esse un'assemblea, nella quale si obbligarono vicendevolmente a scacciar dall'Italia colui che aveva voluto ridurle a vergognosa servitù. Fissarono in Lodi un corpo di cavalleria bresciana e bergamasca; un altro in Piacenza di Cremonesi e Parmigiani; i quali tosto che seppero invaso dalla truppa imperiale il territorio milanese si avanzarono di concerto colle milizie di Milano per attaccarla193. Ma Federico non osò di avventurare una battaglia con gente inferiore di numero ai nemici e di dubbia fede. Egli non aveva che pochissimi soldati tedeschi, perchè quelli che sopravvissero all'epidemia, credendo d'essere stati salvati per particolare favore del cielo, o avevano rinunciato al mondo ed abbracciata la vita monastica, o languivano ancora negli spedali, o vivevano dispersi nella Germania.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo II
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1819 pagine 316

   





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