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      Malgrado il tradimento cui discese una sola volta a danno degli Alessandrini, in generale fu fedele manutentore della data fede; e quando l'anno dopo la pace di Costanza fu ammesso entro le loro mura dalle città che gli avevano fatta la più ostinata guerra, non dovettero porsi in guardia contro alcun suo attentato ai privilegi da lui riconosciuti. Il suo carattere meritò ancora maggior rispetto quando si potè farne confronto con quello d'Enrico VI suo figliuolo e successore.
      Questo principe, siccome aveva desiderato il padre, portava già da cinque anni le corone di Germania e d'Italia. Valoroso come il padre, non ebbe i suoi grandi talenti. Fu nella guerra brutalmente feroce, perfido in pace ed impudente mancator di fede. Ugo Falcando, che scriveva nel tempo ch'Enrico sosteneva la prima volta colle armi i suoi diritti alla corona di Sicilia, dipinse gli Allemanni come la più feroce popolazione; ma senza dubbio aveva preso dal loro re i principali tratti del carattere attribuito alla nazione. «La rabbia tedesca, dic'egli, non è repressa dagli ordini della ragione, mai non piegasi a misericordia, non è sospesa dal terrore della religione. Un innato furore agita sempre questo popolo, eccitato dalla rapacità e strascinato nel delitto dalla dissolutezza274.»
      Pure l'assunzione275 d'Enrico al trono imperiale non influì direttamente sulla sorte delle repubbliche italiane. Trovavasi colla sposa in Germania quand'ebbe avviso della morte di Guglielmo II in Palermo276, ed alcuni mesi dopo di quella di suo padre in Asia.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo II
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1819 pagine 316

   





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