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      Perciò verun principe avanti che s'inventassero la stampa ed i giornali aveva, come Federico, fatto tanto capitale dell'illusione delle scritture, nè provocato colle sue lettere sopra le proprie azioni la pubblica opinione. Nè in ciò solo valevasi l'accorto principe de' talenti di Pietro; abbiamo altrove osservato che approfittò de' suoi consigli e dell'opera sua per riformare le leggi del regno, e per rianimare lo studio delle scienze e delle lettere; abbiamo veduto che lo incaricò di giustificare la propria condotta innanzi al popolo di Padova contro la sentenza di scomunica pubblicata contro di lui; che lo aveva più volte mandato suo deputato al papa, e per ultimo incaricato di trattare la sua causa innanzi al concilio di Lione. Nella quale ultima occasione parve che Pietro mal rispondesse all'antica sua riputazione, conservando un misterioso silenzio, mentre Tadeo di Suessa difese caldamente il suo sovrano70.
      Dopo tale epoca Pietro delle Vigne non ebbe forse più l'intera confidenza di Federico, non trovandolo adoperato in veruna importante occasione, nè meno nello scriver lettere a nome del sovrano; anzi una ne troviamo diretta al medesimo per accertarlo della propria innocenza71. È probabile che, senza abbandonare la corte, non vi avesse più quell'opinione che gli aveva dato la confidenza del sovrano; e che soltanto tre anni dopo cedesse alle istigazioni degli emissarj del papa; oppure che i suoi nemici si approfittassero di qualche apparenza per farlo credere a Federico, quantunque non avesse ceduto72. Ecco come racconta il fatto Matteo Paris.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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