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      Riclamavano questi contro la falsità della notizia, attestando che Corradino era sempre in vita, ed esigendo da Manfredi che gli conservasse il titolo ed i diritti da lui medesimo fino allora conosciuti. Manfredi accordò una pubblica udienza agli ambasciatori, loro rispondendo in presenza di tutti i suoi baroni, che dopo essere salito sul trono, non poteva più discenderne; che questo trono era inoltre stato da lui ripreso dalle mani del papa; che nol poteva conservarsi senza l'appoggio dell'amore de' sudditi verso la sua persona; che l'interesse de' suoi baroni e dello stesso suo nipote non permettevano che l'eredità della casa di Svevia fosse governata da una donna e da un fanciullo; ma che il solo erede era Corradino, al quale egli conserverebbe il regno, per essergli trasmesso dopo la sua morte: che se Corradino voleva prima godere delle prerogative di presuntivo erede della corona, e farsi conoscere dai popoli che doveva un giorno governare, non aveva che a venire alla sua corte, ove sarebbe ben accolto e festeggiato; e per ultimo Manfredi prometteva d'incamminarlo sulla strada gloriosa de' loro padri, e di amarlo come suo figliuolo191.
      (1260) In tale stato trovavansi le cose di Manfredi, quando i principali gentiluomini ghibellini di Fiorenza vennero ad implorare il suo soccorso per rientrare nella loro patria. Gli rappresentavano che non era del suo interesse il tenere tutte le sue truppe in istato di guerra nelle province del regno, perciocchè ciò non poteva farsi senza impoverire lo stato e disgustare i sudditi che vedevano di mal occhio tutta la forza militare essere posta in mano de' Saraceni e de' Tedeschi; che nè pure poteva licenziarle senza indebolirsi, ed abbandonarsi, in certo modo, in balìa de' suoi naturali nemici i Guelfi ed i prelati; sicchè il solo partito cui poteva appigliarsi nella presente situazione, era di mandare i suoi soldati nelle province al di là di Roma nella Toscana e nella Romagna, ove sarebbero a carico de' suoi nemici; che colà si ridurrebbe la somma delle operazioni de' Guelfi, senza che potessero per altro impedire l'ingrandimento di autorità che a lui ne verrebbe dal ristabilimento de' gentiluomini in ogni tempo devoti alla sua casa.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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