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      I deputati delle città più deboli e delle terre che Firenze aveva quasi affatto ridotte in suo dominio, sotto apparenza di proteggerle, appoggiarono la domanda dei Pisani e dei Sienesi; come pure fecero molti de' gentiluomini fiorentini i quali desideravano di ricuperare l'indipendenza di cui i loro antenati godevano nelle loro fortezze, e rompere ogni legame colle città.
      Allora alzossi Farinata degli Uberti199: «Io non ho stimato mai, diss'egli, con voce concitata, che dopo la battaglia dell'Arbia, e dopo una tanta e sì rilevata vittoria, m'avesse a dolere d'essere rimasto in vita; ora grandemente mi doglio ch'io non sono morto nella battaglia. E veramente non è cosa alcuna umana che si possa dire stabile o ferma, e molte volte accade che quello che noi crediamo essere giocondo, è di poi molesto e pieno di dolore ed angustia. E non è abbastanza il vincere nella battaglia; ma molto più importa in compagnia di chi tu vinci. L'ingiuria più pazientemente dell'avversario, che del compagno e collegato, si sopporta. Questa doglianza non fo al presente perchè io tema della rovina della mia patria, perciò che in qualunque modo la cosa passi, mentre che io sarò vivo, non sarà distrutta. Ma bene mi lamento e con grande indegnazione mi dolgo delle sentenze di coloro che hanno parlato innanzi a me. E pare appunto che noi ci siamo raunati in questo luogo per consultar se la città di Firenze si debba disfare, o lasciarla in quella condizione che ella si trova, e non a fine di pensare in che modo insieme con l'altre si possa mantenere nello stato della parte amica.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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