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      I parenti e gli amici, senza avere avuto parte al delitto, non rimanevano stranieri o alla difesa del colpevole, o alla vendetta dell'offeso: quindi la pubblica autorità era sempre chiamata a spiegare tutta la sua energia per reprimere delitti che ponevano in pericolo lo stato, e per assicurarsi di delinquenti protetti da potenti alleati.
      I podestà, cui era confidata la giurisdizione criminale, furono perciò rivestiti del più assoluto potere; sì che pareva che, rispetto a loro, non si avesse timore di renderli troppo forti con pericolo della libertà, ma bensì di lasciarli troppo deboli per mantenere l'interna tranquillità. Si avvezzarono i popoli a chiamarli signori e padroni, onde tra questi ed i tiranni non rimaneva altra diversità che quella della durata della loro dominazione.
      Frattanto nuove cagioni d'anarchia si andavano ogni giorno aggiungendo alle antiche: abbiamo osservato quanto fossero profondamente radicate negli animi italiani, quanto sangue avevano fatto versare, quante ricchezze sovvertite avessero le fazioni de' Guelfi e de' Ghibellini. Il desiderio della vendetta si andava moltiplicando colle sventure, e rendendo più difficile la pace.
      La nobiltà aspirando ad avere le prime parti nel governo della patria, erasi appropriati tutti gl'impieghi civili e militari, e quasi tutti gli ecclesiastici. I consoli, gli anziani, i consiglieri, gli ambasciatori, i comandanti delle porte, i capitani delle milizie, i canonici delle cattedrali, erano tutti gentiluomini; e questi erano tanto gelosi di non associarsi nelle cariche i plebei, che, avendo a vicenda risvegliata la gelosia degli ultimi, diedero origine nelle città lombarde a quelle frequenti guerre civili che avevano per oggetto di costringere i nobili a dividere colla plebe tutte le pubbliche incumbenze.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





Guelfi Ghibellini