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      Il cavaliere era tutto vestito di ferro, ed in parte n'era coperto anche il cavallo, onde affrontava impunemente le frecce degli arcieri, e con una lunga e grossa lancia feriva i pedoni e li teneva in modo lontani, che non potevano offenderlo colla spada. Tali armature non abbisognavano d'alcun cambiamento, ma soltanto di renderne più forte ogni parte; dovevasi far più densa la corazza, più pesante il caschetto, lo scudo più impenetrabile, più lunga la lancia e più soda; bisognava che il ferro o il rame onde l'uomo era coperto, non lasciassero veruna giuntura, verun lato debole per cui la morte potesse aprirsi una strada; bisognava che il cavaliere soggiacesse ad un continuato esercizio per avvezzarsi al faticoso peso delle armi; bisognava trovare, o far nascere una più robusta razza di cavalli e più coraggiosa per portare così enorme peso, e galoppare in tempo della battaglia a seconda dei casi. Tale perfezionamento dell'armatura cavalleresca si operò lentamente dai gentiluomini. Mentre i plebei occupavansi delle cose del commercio e delle arti, e perdevano ogni giorno l'antica forza e l'abitudine alla guerra, i nobili non avevano nelle loro fortezze altra occupazione, altro divertimento che quello dell'armeggiare, esercitandosi in tutto ciò che poteva dare maggiore forza ed arrendevolezza alle membra; a ciò tendevano tutti i loro giuochi, i loro tornei: vivevano tra i loro cavalli ed avevano la stessa cura per l'educazione del loro destriero, come per l'educazione de' loro figliuoli.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326