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      Questo destriero destinato per la battaglia non veniva adoperato in tutt'altre circostanze; anche nel campo il cavaliere adoperava il palafreno fino all'istante in cui doveva entrare in battaglia. Il cavallo e l'uomo resi forti dall'esercizio delle loro forze, furono capaci di sforzi superiori a quanto possiamo immaginare. L'armatura, il cavaliere ed il cavallo s'andarono facendo sempre più forti fino alla fine del quindicesimo secolo, quando l'abituale uso dell'artiglieria rese inutile questa cavalleria perfezionata con tante cure. Nel quindicesimo secolo l'armatura era tanto pesante che un cavaliere abbattuto non poteva rialzarsi da sè medesimo.
      Quando il cavaliere si trovò coperto di una corazza impenetrabile alla freccia dell'arciere ed alla spada del pedone, l'infanteria delle città trovossi affatto incapace di sostenere l'urto della cavalleria. I cavalieri stretti in ordine di battaglia, abbassavano le loro lance e rompevano le file attraversandole di galoppo senza che niente potesse fermarli, e senza esporsi a verun pericolo. L'infanteria romana avrebbe, non v'ha dubbio, resistito a sì grand'urto, lanciando il pilum alla testa de' cavalli nell'istante opportuno di abbatterne molti e gettare il disordine tra le file: l'infanteria svizzera, ancora meglio ordinata sotto questo rapporto, oppose più tardi all'urto della cavalleria una selva d'immobili lance, contro le quali gli squadroni andavano a rompersi: ma le nazioni europee s'avvidero troppo tardi di questa maniera di combattere; onde dalla Norvegia fino all'estremità dell'Italia la cavalleria ebbe in ogni luogo tanta superiorità sulla fanteria, che si terminò col non farne più verun conto, credendosi affatto inutile nelle battaglie.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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