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      L'annuale elezione del consiglio sovrano pareva conservare l'essenza del governo rappresentativo; ma effettivamente erasi stabilita l'aristocrazia, e la nazione si era, senz'avvedersene, spogliata della sovranità. Il maggior consiglio, padrone delle proprie rielezioni, doveva, malgrado l'apparente sua ammovibilità, essere sempre press'a poco composto degli stessi individui. Quel rispetto per gl'illustri natali, che presiedette all'origine di questo corpo, doveva accrescersi sotto il suo regno; e la rivoluzione che in sul finire del tredicesimo secolo rese ereditaria la carica di consigliere, era senza dubbio preparata dall'eredità reale nelle famiglie che quasi sole composero questo corpo ne' cento trent'anni della sua durazione.
      Ma la nobiltà che nel tredicesimo secolo trovavasi già in possesso del poter sovrano a Venezia, veniva nonpertanto mantenuta nell'eguaglianza e nell'ubbidienza alle leggi dal timore del doge e dal rispetto del popolo. I nobili veneziani non avevano allora alcun possedimento in terra-ferma, verun castello ove rifugiarsi a dispetto della pubblica autorità, verun vassallo che potessero armare per la propria difesa. Se fossero stati chiamati a prendere le armi contro il popolo, avrebbero dovuto combattere a piedi come l'ultimo della plebe nelle anguste contrade di Venezia impraticabili ai cavalli, o pure stando nelle barche e nelle galere, i cui marinaj erano tutti uomini liberi e valorosi quanto i nobili. E perchè niun sentimento della propria forza poteva in essi risvegliare l'insolenza, non se ne rendevano giammai colpevoli.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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