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      Pare che il giuramento del doge formasse per lo addietro la gran carta delle libertà nazionali; ma il potere di questo capo dello stato venendo gradatamente ristretto dal sovrano consiglio, il suo giuramento si ridusse ad essere una rinuncia non solo a tutte le antiche prerogative della sua carica, ma quasi alla personale sua libertà. La raccolta delle promesse ducali divisa in centoquattro capitoli è probabile che siasi cominciata verso il 1240, e continuata soltanto fino al cadere dello stesso secolo. Il doge prometteva d'osservare le leggi della sua patria, e d'eseguire i decreti di tutti i consigli; prometteva di non tenere corrispondenza colle potenze estere, di non riceverne gli ambasciatori, di non aprirne le lettere senza l'assistenza del suo piccolo consiglio; di non dissigillare nemmeno le lettere che gli fossero dirette da' sudditi dello stato se non in presenza d'uno de' suoi consiglieri; di non acquistare veruna proprietà fuori dello stato veneto, e d'abbandonare quelle che avesse all'atto della sua nomina; di non prender parte in alcun giudizio nè di fatto, nè di diritto; di non cercare d'accrescere il suo potere nello stato; di non permettere a veruno de' suoi parenti d'esercitare dipendentemente da lui alcun ufficio civile, militare o ecclesiastico negli stati della repubblica o fuori; finalmente a non permettere che alcuno cittadino piegasse innanzi a lui le ginocchia, o gli baciasse le mani219.
      L'anno 1172 la nomina del doge fu trasferita con tutte le altre elezioni dall'assemblea del popolo al maggior consiglio, che delegava in origine ventiquattro, e ne' tempi susseguenti quaranta membri, che la sorte riduceva ad undici.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326