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      «Si vide allora, scrive Niceforo Gregora, che la regina delle città più non era che un campo di desolazione pieno di rottami e di ruine, molte case erano cadute, e quelle che ancora rimanevano non erano che miseri avanzi salvati dalle fiamme. Bizanzio aveva affatto perduta la sua bellezza ed i suoi più preziosi ornamenti negl'incendj più volte appiccativi dai Latini, quando la ridussero in servitù: e come ciò fosse poco, niuna cura si presero di ripararla, quasi fossero da lungo tempo persuasi di doverla in breve abbandonare238.»
      Ma non tutti i Latini erano usciti di città: oltre i Genovesi che avevano ajutati i Greci a farne la conquista, eranvi ancora i Pisani e molti Veneziani. Molti degli ultimi trattenuti dagl'interessi del loro traffico, o dalle parentele contratte coi Greci, non avevano voluto abbandonare nè le loro proprietà, nè la loro famiglia; altri accortisi troppo tardi della subita perdita della città non trovarono luogo sulle navi. Conosceva Michele troppo bene la debolezza e la povertà della sua nuova capitale per privarsi dell'ajuto e delle ricchezze di così industriosi abitanti: onde non solo riconfermò ai Genovesi tutti i privilegi accordati nel precedente trattato d'alleanza, ma un egual travamento prometteva pure ai Veneziani ed ai Pisani che volessero soggiornare ne' suoi stati. Non però acconsentì ai primi, ch'erano i più numerosi e resi più arroganti dalla sua amicizia, di abitare nell'interno della città, ove potevano diventare pericolosi; e li trasportò a Galata situata nell'opposta riva del porto, mentre non ebbe paura di lasciare in città i Veneziani ed i Pisani sotto la sopravveglianza del popolo che gli odiava.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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