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      «Viterbo il 5 di maggio anno 4308.»
     
      Lo spavento che sentiva il papa, e che manifestava in questa così poco misurata lettera, era in parte prodotto da' preparativi di guerra che il senatore di Roma andava facendo quasi sotto i suoi occhi. Questo senatore era un principe castigliano. Alfonso X, re di Castiglia, quello stesso che aspirò a portare la corona imperiale, aveva due fratelli, Federico ed Enrico, che dopo essersi contro di lui ribellati co' suoi sudditi, avevano dovuto abbandonare la Spagna e rimanersi più anni al servigio del re di Tunisi309. Durante la lunga loro dimora presso i Saraceni furono accusati d'avere adottati i costumi e la religione di quel popolo. Enrico frattanto, stanco del suo esilio tra i Musulmani, era dall'Affrica passato in Italia ne' tempi in cui la conquista del regno di Napoli fatta da Carlo d'Angiò riscaldava le speranze di tutti gli ambiziosi. Il padre d'Enrico era fratello della madre di Carlo, onde il principe castigliano approfittò di questa parentela per essere favorevolmente accolto da suo cugino; ed a questa aggiunse una raccomandazione ancora più potente, prestandogli sessanta mila doppie, prezzo de' suoi servigi presso i Saraceni e de' suoi risparmj. In fatti Carlo lo accolse come fratello; lo raccomandò caldamente al papa, cui chiese perfino che lo investisse del regno di Sardegna, onde toglierlo a' Ghibellini di Pisa. Ma Carlo non tardò ad ingelosirsi dell'influenza che Enrico andava acquistando grandissima sullo spirito del popolo di Roma ed alla corte papale, chiese per sè medesimo il regno di Sardegna, rifiutò di restituire al cugino il prestato denaro, ed eccitò talmente la sua collera, che Enrico giurò di vendicarsi, quand'anche dovesse perdere la vita310.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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