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      Il marchese Uberto, ch'erasi ritirato in un altro castello, vi morì l'anno susseguente, mentre i Guelfi suoi nemici stavano per assediarlo333. Suo figlio Manfredi continuò la nobile famiglia de' Pelavicino, che con leggiere alterazione di nome chiamasi oggi Palavicino; ma quantunque fino a' nostri giorni sia rimasta feudataria immediata dell'impero, non risalì però mai a quel grado di potenza, cui l'aveva innalzata il marchese Uberto.
      Buoso di Dovara, lungo tempo collega di Pelavicino, fu forse, disgustandosi con lui, cagione della comune ruina; giacchè appena stando uniti erano abbastanza potenti per resistere ai loro nemici. Buoso fu esiliato da Cremona con tutto il suo partito, e morì miserabile dopo avere compromessa la sua autorità per una insensata avarizia334.
      Le città di Lombardia, quasi tutte addette al partito guelfo, parevano, colla caduta degli antichi loro padroni, ricuperare la perduta libertà; ma esse avevano perduto nelle precedenti rivoluzioni quell'odio della tirannia e del potere arbitrario che forma, per così dire, la salvaguardia delle repubbliche. La passione dominante d'ogni città era il trionfo d'una fazione, non lo stabilimento d'un conveniente governo; ed i mezzi, che venivano adottati per conseguire questo scopo, tendevano di loro natura a distruggere la libertà. Non si può forse ragionevolmente sperare che una repubblica possa stare senza fazioni; ma per lo meno sarebbe desiderabile che le fazioni prendessero origine nel suo seno e che i suoi cittadini non adottassero cause straniere.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo III
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 326

   





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