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      CAPITOLO XXIII.
     
      Guerra di Sicilia. - Grandezza e decadenza della repubblica di Pisa. - Crudel morte del conte Ugolino. - Nuove turbolenze a Firenze.
     
      La strage di Sicilia che non aveva tolti al re Carlo che quattro mila soldati francesi, era più che una disfatta, un affronto ch'egli doveva vendicare; nè tale perdita era di tanta importanza ch'egli non potesse ben tosto ripararvi. Se è vero che avesse adunati dieci mila cavalli ed un proporzionato numero di pedoni per fare l'impresa del Levante; se ne' suoi vasti progetti calcolava la conquista di tutto l'impero greco, pare che con queste forze già riunite egli avrebbe in pochi giorni potuto sottomettere una provincia ribelle, non ancora preparata ad una vigorosa resistenza, sprovvista di arsenali, di armata, di tesoro, non sostenuta da uno stabile governo, non difesa da esperti generali; ove tutto quanto gli si poteva opporre era l'odio profondo contro di lui concepito ed il timore delle sue vendette. Ma le passioni che agitano un'intera nazione, che le danno un solo sentimento, una sola vita, un solo interesse in faccia al quale tutto cede; le passioni che non lasciano calcolare nè sforzi, nè pericoli, nè sagrificj, danno ad un popolo assai maggiori mezzi di resistenza, di quelli che potrebbe somministrargli la previdenza d'un governo regolare, e l'azione uniforme e sempre subordinata al calcolo della militare disciplina. La Sicilia fu invincibile: ella resistette agli sforzi combinati del re Carlo, del papa, del re di Francia, di tutti i Guelfi d'Italia e dello stesso re d'Arragona, che per rappacificarsi colla Chiesa prese parte in una vergognosa lega co' suoi nemici.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo IV
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817, pagine 288

   





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