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      Perchè la pacificazione della Sicilia riuscisse intera, rendevasi al nuovo trattato necessaria l'approvazione della Chiesa, onde fossero tolte le scomuniche da tanti anni fulminate contro quel regno. Ma Bonifacio rifiutavasi di aderire alle convenzioni senza farvi alcune modificazioni; ma per altro scrisse subito a Federico109 per attestargli il suo affetto ed il desiderio di riconciliarsi con lui; onde per aderire alla sua domanda, nel mese di giugno del susseguente anno 1303, Federico si riconobbe feudatario della santa sede per il regno di Trinacria, come Carlo lo era per quello di Napoli, promettendo l'annuo tributo di tre mila once d'oro110 ed un soccorso di cento cavalli o di un determinato numero di galere qualunque volta la Chiesa fosse attaccata. Sotto tali condizioni Federico si riconciliò colla santa sede; ed il papa, tanto tempo suo nemico, ben tosto ricorse a lui contro que' medesimi Francesi che aveva fino allora protetti111.
      Dacchè Bonifacio VIII ebbe ottenuto il papato, più non si curò di nascondere due dominanti qualità del suo carattere: un orgoglio senza pari ed un impeto che s'accostava al furore, quand'era contrariato. Per giugnere alla tiara aveva saputo in molte occasioni regolarsi con destrezza e piegare con simulata moderazione alle altrui voglie; ma risguardando poi queste qualità come sconvenevoli ad un capo della cristianità, voleva vincere di fronte ogni ostacolo. E perchè aveva da principio abbracciati gl'interessi della casa di Francia, erasi mostrato il più implacabile nemico de' suoi nemici, perseguitandoli con una acerbità tale, che sembrava escludere qualunque speranza di riconciliazione, onde aveva fatta la guerra otto anni a Federico di Sicilia con non minore accanimento di Carlo d'Angiò. Quando del 1298 Alberto d'Austria, ribellatosi contro Adolfo di Nassò, si fece incoronare in sua vece re dei Romani, e poco dopo lo vinse in una battaglia, in cui Adolfo fu ucciso, Bonifacio non solo rifiutò di conoscerlo, ma lo trattò da traditore e da ribelle; e postasi la corona sul proprio capo, prese una spada e gridò: «Il Cesare sono io, io l'imperatore, io che difenderò i vilipesi diritti dell'impero112.» Lo stesso papa, che trattava con tant'altura i sovrani, non aveva verun riguardo d'inimicarsi i grandi prelati e signori di Roma.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo IV
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 288

   





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