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      Finalmente stanchi delle comuni sconfitte erano venuti ad una pace, che non sembravano volere lungamente osservare, quando la venuta di Enrico in Genova portò, come osserva lo storico di quella repubblica, un importante cambiamento nella costituzione dello stato. «Per la prima volta, egli dice, una straniera potenza fu tra noi riconosciuta, esempio più volte imitato ne' posteriori tempi; di modo che è cosa veramente maravigliosa, che quello stesso popolo che non perdonò a dispendio d'uomini e di danaro, che tanto si mostrò bellicoso ed ostinato quando volle stendere il suo dominio sulle nazioni straniere affatto lontane; che quel popolo che sì grandi perdite sostenne e tanti pericoli incontrò per vendicare la maestà del suo nome contro i più grandi potentati, non abbia poi prese le armi per conservare la sua indipendenza, ed abbia creduto di metter fine alle intestine sue discordie sottoponendosi volontariamente ad una straniera potenza. Vero è ch'egli provò ben tosto essere di tutti i popoli quello che sapeva meno pazientemente soffrire la servitù, poichè scacciò tutti i padroni chiamati a governarlo269.»
      In fatti i Genovesi accordarono ad Enrico per venti anni un'assoluta autorità sulla repubblica; ma poi non tardarono a pentirsene. Enrico licenziò il podestà che amministrava in città la giustizia, surrogandovi un vicario imperiale; privò de' suoi onori l'abate del popolo, che così chiamavasi un magistrato popolare, che a guisa de' tribuni di Roma doveva essere il protettore della plebe; finalmente impose sulla repubblica una tassa di sessanta mila fiorini270. Enrico si trattenne più mesi in Genova, ove perdette la sua consorte che lo aveva colà accompagnato; e non andò molto che, trovandosi senza danaro, fu costretto di contrarre debiti per supplire al suo giornaliero mantenimento.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo IV
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 288

   





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