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      Non si era potuto far capire al popolo che il numero de' suoi suffragi non è l'espressione della sua volontà; che, supponendo ancora tutti i cittadini eguali, nè tutti vogliono, nè tutti sentono egualmente, e che il popolo non è sovrano che allora quando l'interesse di tutte le sue classi è ugualmente sacro, non quando la loro voce è confusa col clamore popolare. Per altro tutti i governi sapevano che l'interesse nazionale non è mai con tanta facilità sacrificato da qualunque altra adunanza, come da quella della nazione medesima; e che mentre i consigli mantenevansi fedeli al proprio dovere, i parlamenti avevano frequentemente acconsentito alla ruina della libertà, o alla sovversione della costituzione. I priori di Firenze temettero che il parlamento dasse la repubblica in mano al duca d'Atene. Essi non potevano impedire una convocazione che Gualtieri aveva diritto d'ordinare come capitano del popolo; si rivolsero perciò subito a lui medesimo, onde impegnarlo a ratificare solennemente le promesse che andava facendo. Gualtieri vi acconsentì di buon grado, convenne che i priori aprissero le deliberazioni, a condizione che eglino chiedessero al popolo la proroga per un anno dell'autorità data al duca d'Atene cogli stessi privilegi accordati sedici anni prima al duca di Calabria, e sotto le stesse riserve e restrizioni. Gualtieri obbligò la sua parola di cavaliere a non chiedere nè accettare maggiori poteri, quand'anche gli venissero dal popolo offerti. Questa vicendevole convenzione venne ridotta a formale contratto, ratificata dai notai e confermata con giuramento418.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo V
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 298

   





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