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      Cola passò la notte nel recinto del tempio, e nel susseguente giorno si presentò al popolo coperto di scarlatto e di vajo, facendosi cingere la spada da messer Vico Scotto, cavaliere e gentiluomo romano508. Ascoltò poscia la messa nella cappella di papa Bonifacio, durante la quale si volse al popolo gridando: «Noi vi citiamo messer papa Clemente a venire a Roma, sede della vostra chiesa con tutto il collegio de' vostri cardinali509. Citiamo voi Luigi di Baviera e Carlo di Boemia, che vi chiamate re ed imperatori de' Romani, e con voi tutto il collegio degli elettori germanici, perchè giustifichino innanzi a noi i diritti che hanno all'impero, e su quali fondamenti pretendono disporne. Dichiariamo intanto, che la città di Roma e tutte le città d'Italia sono e devono conservarsi libere; noi accordiamo a tutti i cittadini di queste città la cittadinanza romana, e chiamiamo il mondo in testimonio che l'elezione dell'imperatore romano, la giurisdizione e la monarchia appartengono alla città di Roma, al suo popolo ed a tutta l'Italia.» In appresso sguainando la sua spada, percosse l'aria verso cadauna delle tre parti del mondo, ripetendo: questo appartiene a me, questo appartiene a me, questo appartiene a me. Spedì subito corrieri a portare le citazioni alla corte d'Avignone ed ai due imperatori510. Il vicario del papa, vescovo d'Orvieto, che aveva assistito a tutta questa cerimonia, rimaneva come fuor di sè vedendo tanto e così inaspettato ardire. Chiamò per altro un notajo per protestare in faccia a lui ed al popolo, che ciò facevasi dal tribuno senza sua saputa e senza l'assenso del papa.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo V
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1817 pagine 298

   





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