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      Cola vestì la sua armatura di cavaliere, e preso in mano lo stendardo del popolo si presentò alla finestra d'una sala superiore, e fece segno di voler parlare. Tale era il prodigioso impero della sua eloquenza, che, se gli fosse stato concesso di parlare, avrebbe senza dubbio calmata la moltitudine. Ma il popolo ricusava ostinatamente di ascoltarlo, e scagliava pietre contro di lui per forzarlo a ritirarsi dalla finestra; onde dopo aver fatti inutili sforzi pel calmare que' forsennati, essendo stato ferito in un braccio, ritirossi entro il palazzo283.
      Non perciò perdette ogni speranza di ridurre il popolo alla quiete quando potesse parlare. Si fece calare a basso in alcuni lenzuoli legati alle finestre, onde giugnere sul terrazzo della cancelleria, che trovavasi allo scoperto, ma dove più difficilmente poteva essere offeso. Di là tentò nuovamente di parlare, ma ogni sforzo per farsi udire fu vano. Allora fu veduto pendere indeciso tra una morte gloriosa combattendo e tra la speranza della fuga; spogliarsi dell'armatura, poi rivestirla per levarsela di nuovo284. Finalmente si applicò a quest'ultimo partito. Il palazzo era già preso dalla plebaglia, la quale saccheggiava le sale che l'incendio separava dal luogo in cui trovavasi Cola. Egli cercò di spogliarsi di tutti quegli abiti che potevano dare indizio della sua dignità, s'avviluppò nel mantello del portiere, si pose in sul capo alcune coltri da letto, e come persona che tornasse allora dal saccheggio, attraversando arditamente il fuoco, indicava agli aggressori in lingua romanesca285 il luogo di dove veniva colla preda, e gl'incoraggiava ad avanzarsi ancor essi.


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Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo
Tomo VI
di Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi
1818 pagine 301

   





Cola