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      Era la casa del nonno in cui abitavano i molti figliuoli del nonno, e i molti nipoti.
      La domenica e le feste il nonno sedeva a capo della tavola parentale, laggiú in fondo. Era alto di torace con un viso largo e indulgente e una gran barba bianchissima. Guardava contento i suoi figliuoli e le loro donne. Quanti cari parenti erano seduti intorno alla tavola nella gran sala domenicale! Tutti erano seduti al loro posto, e quando altri venivano, si aggiungeva un'asse alla tavola e si prendeva una piú lunga tovaglia dall'armadio. Perché i nostri parenti erano molti, e arrivavano da Zagabria, da Padova, dall'America e portavano baicoli e giocattoli.
      C'era zio Boto, intorno a quella tavola, che faceva quadri e ci contava le avventure di Saturnino Farandola, e zia Tilde con due grandi occhi dolci, color mare, e Biancolina, cuginetta, che stava sempre con mio fratello e io cercavo rabbioso di sapere i loro segreti, e zio Daghelondai che ci diceva sempre con voce burbera: "Turco alla predica! Daghelondai!", e io ridevo e mio fratello saltava spiritato pestando i piedi, e zio Guido, e zio Feliciano, e zia Mima, e Mario e Bruno, la nonna, zia Bice, papà, Toci, mamma. E zia Ciuta, prosperosa e matronale. Aveva uno sguardo benefico, e le cose diventavan facili e semplici com'ella ne parlava.
      E quando tutti avevan già finito di mangiare e bevevano il caffè fumando i lunghi sigari virginia, la porta si apriva con grande sforzo e tu entravi nel tuo grembiulino candido con alle spalle i bei nastrini rosa, dormiglioso Pipi.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





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