Pagina (10/103)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Chi sapeva dar schizzata piú tagliente di Vincenzo? Era come una fiatata di mostro marino la mezzaluna di mare che balzava su, sotto le sue mani a cuneo rovesciato. E Steno notava sott'acqua per un minuto, e Pipi era come un piccolo pescecane predace.
      E se uno di noi cedeva nella lotta, per sette giorni doveva passare attraverso il fuoco di fila dei compagni. Perché il "Dagli!" era una società con leggi severe, e nessuno s'arrischiava di disobbedire al nostro capo.
      Ora Steno, il nostro capo, è morto. Era un professore che s'è ammazzato, nevrastenico.
     
     
      E raccontavo belle storie ai piccoli cugini che m'ascoltavano accoccolati d'intorno, nell'ombrosa veranda sul mare. Il mare stava zitto, ascoltando. La casa vicino a lui, dove abitò Tartini, aveva chiuse tutte le persiane e dormiva, bianca nel sole, con gli zii e gli altri villeggianti. Silenziose erano le larghe camere matrimoniali sostenute da travoni squadrati. Era l'ora del caldo e del riposo. La terra s'ampliava nella distesa del sole. Il cielo era chiuso e grave. Neanche una vela sul mare. Tacevano le vespe e i bombi. Un frutto tonfava giú dal ramo. Era il grande silenzio infocato, quando gli occhi dei colombi stanno chiusi sotto l'ala e il bue rumina accosciato corpulento sulla paglia fresca.
      Ma solo i bimbi in quell'ora si buttano nei prati come un ciapo di storni autunnali e saccheggiano le ficaie, stroncando i rami aridi, perché anche il padrone dorme, il signor Vatta dagli occhietti di gobbo. E poi si raccolgono, a tasche piene, nella veranda ombrosa e Scipio conta una bella, strana, lunga storia.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





Vincenzo Steno Pipi Steno Tartini Vatta Scipio