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      Udivo sgricciar una foglia, cader una coccola, un pigolío. Poi tutto era silenzio. Io non mi movevo.
      Avevo voglia di buttarmi su uno di quei tronchi, stringerlo fra le braccia, stare con lui. Ma avevo paura di far strepito.
      Cercavo lentamente con gli occhi una farfalla, un insetto. Niente si moveva. Qualche cosa era nascosta nel fogliame, mi guardava, e io non la vedevo.
      Nel bosco rimparai a pregare. Dicevo: "Dio voglimi bene; Dio voglimi bene". Una volta mi buttai per terra e piansi a lungo.
     
     
      Salto e sbalzo verso il lembo aperto di cielo. Sotto il sole lampeggia e rutila in fondo il dolce ricordo. Dove vado? Lontana è la patria, e il nido disfatto. Ma il vento trascorre con me, desiderando, oltre il margine roccioso del carso, e sono sopra il mare, la larga strada del vento e del sole.
      Io sono nato nella grande pianura dove il vento corre tra l'alte erbe inumidendosi le labbra come un giovane cerbiatto, e io l'inseguivo a mani tese, ed emergevo col caldo viso nel cielo. Lontana è la patria; ma il mare luccica di sole, e infinito è il mondo di là del mare.
      E la fertilità della terra sgorga pregna di succo nelle grandi foglie carnose e accende di vermiglio i pomi tondi sulle piante intrecciate fra loro, empiendo di gioia l'anima degli uomini.
      Calda è la messe d'oro, e il profumo dei cedri e delle magnolie ha colto l'uomo nella sua fatica, ond'egli s'è ripiegato sulle spighe e dorme ravvolto nel sole.
      Pennadoro, nuovo venuto, se tu non dormi, tua è la terra del sole.
     
     
     
      Il monte Kâl è una pietraia.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





Dio