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      Il giovane comprende benissimo tutta la piccola famiglia estranea, e anche l'ammira. E la ragazza è buona, e quando egli la rimprovera o s'addolora perché non si capiscono, gli dice con carezza: "Sí, sí, ti ga ragion, ma ti vederà, studierò, legerò, semo tanto giovini. No stemo esser tristi, dai!".
      E gli anni passano, passano tre anni, e ognuno un giorno vede la sua strada. Cosí il giovane intruso lasciò la povera ragazza disperata, salutò la mamma, andò via e soffrirono per qualche tempo.
     
     
      Ero stato socio della "Giovine Trieste", non mi ricordo piú sotto che nome, perché il regolamento delle scuole medie austriache proibiva allora di far parte di qualunque società, "specialmente se politica". Pagavo regolarmente i dieci soldi settimanali. Assistevo regolarmente alle sedute.
      Tintinno del campanello automatico, il socio entrava, diceva: "Bonasera", guardava attorno per trovare un conoscente, si faceva portare una bottiglia di birra dal custode - un ometto simpatico con orecchie a vela e naso grosso e lungo, a cui sarebbero stati bene i colletti a risvolto dei nostri nonni, - accendeva una sigaretta, leggeva i giornali, chiacchierava. Non si faceva niente, ma ci si consolava pensando alla preparazione. Tutti si lagnavano della "Patria", la direzione del partito liberale di cui noi eravamo l'ala sinistra; ma prima di decidere un leggero rimprovero a questo o quel nostro uomo rappresentativo, si domandava il permesso alla "Patria". Una sera, in seduta, quando l'i. r. commissario era già andato via - perché quando c'era lui si davano annoiatamente i resoconti di cassa e si leggeva sorridendo la relazione ufficiale, - si inveí con forte parola contro l'apatia remissiva di Hortis e degli altri deputati.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





Trieste Hortis