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      Uscii deluso. Toccai le foglie degli alberi umidi di piova, sforzandomi a non paragonarle con niente. Un'impressione tattile di bagnato e di freddo, e basta. Avrei voluto mi fossero disaggradevoli. Camminai lungamente, evitando di pensare. Poi decisi: Parto.
      Andai alla stazione a pigliare il biglietto di terza classe. «Per dove?» mi chiese il bigliettinaio. Lo guardai. Io pensavo di viaggiare senza destinazione; viaggiare perché speravo in un disastro ferroviario che avesse schiantato due macchine e piú vagoni, e io mi salvo aggrappandomi fortemente fra i due valigiai, cosí che l'urto non mi tocca. Poi esco rompendo il vetro dal vagone rovesciato, striscio a carponi; non salvo nessuno ma corro alla prossima stazione per avvertire, con calma, dell'accaduto. «Ha la mano insanguinata» mi dice premuroso il capostazione. Io la guardo estraggo il fazzoletto e la fascio. Poi, per favore, domando al capostazione di permettermi inviare un dispaccio al mio giornale.
      «Per dove?» si spazientí il bigliettinaio.
      «Per Milano.» E pensai: mi presento al Corriere della Sera.
      Il treno andava a Vienna, e il bigliettinaio dicendomelo sorrise. Tornai a casa deciso di farmi giornalista.
     
     
      Il Piccolo mi accettò a cento corone il mese: orario da mezzogiomo alle sedici, e dalle venti alle tre.
      La prima volta che andai a intervistare un'attrice non ricordo piú se era la Bellincioni o la Tina di Lorenzo - pensavo mettendo il pollice nel taglio ascellare del gilè bianco: Rappresentazione d'una novità che non conosco; intervista antr'act; caffè neri; accendo un sigaro; in redazione: è il tocco.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





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