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      Andiamo per i prati senza sentieri, perché oggi un tiepido sole ci carezza le palpebre. Camminiamo lungamente, godendoci il sole invernale e le piccole viole fra le foglie dell'edera sparsa sul suolo.
      È un giorno che l'anima è portata in alto dal proprio fiato. Se respiriamo, lasciamo bianca vaporosa traccia di noi nell'aria.
      Andiamo ancora avanti un poco, dove il sole scalda il tronco del bianco platano, e poggiamoci la fronte leggera. Sotto ai piedi fruscia l'erba nuova, mentre andiamo tenendoci stretti per mano e guardando tra le ciglia.
     
     
     
      PARTE TERZAHo ritrovato il mio carso in un periodo della mia vita in cui avevo bisogno d'andar lontano. Camminavo spesso, lento, alle rive per veder la gente che partiva. Studiavo l'orario dei piroscafi lloydiani, e se avessi avuto qualche centinaio di corone sarei andato in Dalmazia, a Cattaro, poi mi sarei arrampicato su fino a Cettigne, poi chissà? nell'interno della Croazia dove c'è boschi immensi e bisogna cavalcare lunghe ore per arrivare a una casipola di legno bigio. Il pater familias è ancora l'antico ospite. Di notte, quand'uno non può dormire, sente un canto triste che lo culla. Forse piuttosto sarei andato nell'Oriente.
      Guardavo i bragozzi ciosoti che con una gran spinta si staccavano, gonfi e carichi, dalla riva. Il padrone della barca si levava la camicia per non infradiciarla di sudore, s'arrampicava sull'albero, e agganciandosi con la gamba sulla scala a corda sbrogliava la vela, giallastra a macchie mattone. Tutta la notte avrebbero corso l'Adriatico col borino, e poi un altro giorno, e un altro sotto il sole.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





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