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      Vicino ai fanali senti il fruscio del gas ch'esce dal beccuccio. Un tratto di luce; la tua ombra cammina davanti a te, poi si smarrisce un poco; una seconda ti segue; si fa piccola, s'avvicina, eguale a te. Ti puoi fermare, sdraiarti su lei, nel lastricato della città, e dormire anche tu. Ma puoi anche andare avanti, svoltare a sinistra o a destra, è indifferente. Ora sei in mezzo a una puzza di petrolio bruciato; poi, quando questa zona finisce, comincia la ventata calda di grasso dalla cucina d'un albergo. Tu puoi camminare fino all'alba per la città zitta, mentre la polvere cala lenta per terra.
     
     
      Piove. È una giornata lunga. Il campanello suona: entra Guido, lascia cader l'ombrello nel portaombrelli, va in camera sua, butta giú i libri, va a mangiare. Mamma passa piano vicino la mia porta, perché spera io riposi.
      Il giorno s'allunga eguale e infinito.
      Un carro traballa lento per la strada. Odo picchiare su ferro. I colombi tubano sul cornicione della casa. Non so che sarà della mia vita.
     
     
      Due uomini passano vicino e si salutano levandosi il cappello. Uno ha un viso triangolare, tutt'ossi, con occhi stanchi e erranti; l'altro cammina a piccoli passi svelti, tutto contento. È contento d'aver appetito. È contento della sua casa, della giovane sposa che lo aspetta alla finestra. Ha il Piccolo ripiegato in tasca e porta un cartoccio di ciliege per il pranzo. - Perché si sono salutati? Che rapporto vi può essere tra questi due uomini? Tutta la vita è intrecciata cosí ridicolmente. Nessuno può capire l'altro, ma s'infinge d'amarlo e d'odiarlo.


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Il mio Carso
di Scipio Slataper
pagine 103

   





Guido Piccolo